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Cenni storici sul Palazzo Rizzi

Narrano le vecchie storie di una famiglia Rizzi che sedeva nel Consiglio di Venezia nel 1122. Tra le varie memorie di questa famiglia molto diffusa in ogni epoca a Venezia, ricordiamo quell’Andrea, padre di Benedetto e di Francesco, ambedue orefici a Rialto, il primo all’insegna di San Giovanni e l’altro del Naranzo.

Arricchitisi, assieme al loro zio Francesco, essi durante la guerra di Morea, chiesero alla Repubblica di Venezia di essere ascritti nel patriziato pel tramite una supplica datata 28 luglio 1687 e l’elargizione di cospicue somme in donazione alla Serenissima.
I Savi dell’Una e dell’altra Mano, che erano allora Marc’Antonio Mocenigo, Gerolamo Renier, Zorzi Priuli, Andrea Vendramin, ed Angelo Morosini, diedero il loro parere favorevole per l’accettazione della famiglia Rizzi nel patriziato; di conseguenza al 31 luglio 1687 il Senato prese questa deliberazione:

“Datasi la famiglia Ricci all’applicationi più degne del Sacerdotio e del servitio del Principe, ha procurato sempre di far spiccare la bontà del proprio genio particolarmente il q. Abbate Angelo Zio paterno degli Abbati superstiti Iseppo, e Sebastiano, che vivendo con esemplarissimi costumi, ha lasciato à questi un efficace stimolo di ben imitarli come lo praticano à loro singolare ornamento e li fedelissimi Marc’Antonio e Zorzi pur suoi nipoti, che impegandosi con questo merito, e con puntualità nel geloso Ministerio di Gastaldo delle Procuratie di Supra, e di Citra, hanno reso li Saggi più abbondanti d’incorrotta fede, e della più sviscerata divotione verso la Signoria nostra. Abbracciamo di buon cuore al presente l’opportunità di dar maggior testimonio di vivo ossequio, e d’animo religioso, mentre prosseguendosi dalla Repubblica nostra la Guerra contro l’Ottomano, à dilatatione della fede et à decoro della Patria, né potendo come lontane dall’eserciti dell’Armi giovare con le persone alla pubblica Causa spremono li fedelissimi Iseppo, e Sebastian Abbati Gio. Batta, Marc’Antonio, e Zorzi fratelli Ricci qd. Benetto, e Francesco loro Zio paterno dal più essenziale delle proprie sostanze la somma rilevante di 100 mila ducati effettivi, et li consacrano à presenti bisogni, da scriversi in una sola partita di Banco à pubblica disposizione .... L’anderà parte che sia benignamente accettata la volontaria esibitione delli Ecc.i Iseppo e Sebastiano Abbati, Gio. Batta, Marc’Antonio e Zorzi fratelli Rizzi qd. Beneto e di Francesco loro Zio paterno di ducati 100 mila V.C. .... E sono essi con i loro figlioli e discendenti legittimi decorati in perpetuo della Patrizia nobiltà ....”.

La famiglia Rizzi aveva un palazzo proprio sulla fondamenta omonima a S. Maria Maggiore fornito di egregie opere d’arte ed i suoi componenti venivano sepolti nell’ex chiesa di S. Margherita, dove attualmente vi è il cinematografo/Auditorium.

(Notizie estratte da: G. Dolcetti, Il Libro d’Argento dei cittadini di Venezia e del Veneto – Nobili, Cittadini e popolani – Volume I – Ristampa anastatica dell’Edizione di Venezia del 1922-28, Bologna – Alberto Forni Editore)

Del palazzo Rizzi a S. Maria Maggiore parla, sotto la data del 2 agosto 1743, il «Diario» della Marciana, da noi altrove citato (Classe XI, Cod. 58).
«In questo giorno», esso dice, «il co. Francesco Algarotti, noto letterato Veneziano, va comperando anticaglie e quadri di valenti maestri per servizio della Corte di Sassonia e del re di Polonia. In ca' Rizzi a S. Maria Maggiore furono venduti quattro bei quadri con gran dispiacere dei buoni Veneziani, che mal volentieri vedono spogliare la città di così preziose pitture per marcia avarizia».

A metà del XVIII secolo, il palazzo non appartiene più ai Rizzi, ma a una famiglia Barbaro che, adattando opportunamente il fabbricato e con nuove parti erette, ne ricava un Grande Stabilimento Nazionale della Ditta Agostino Barbaro. La denominazione “nazionale” va intesa in riferimento alla Repubblica di Venezia. Quanto all’attività svolta nello Stabilimento, si parla di “fabbrica d’amido, cipria, carte da giuoco, olj medicinali, macinazione di zolfo”ecc. (1793).

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